sabato 9 settembre 2017

Palāsa Jataka


Fiori di Palāsa (Butea monosperma). Foto tratta da DOMAP, India

Il Palāsa Jataka porta il numero 370 tra le storie del Jataka Mala, l’antico testo buddista che raccoglie narrazioni didascaliche sulle precedenti reincarnazioni del Budda Sakiamuni (vedi post Storie di Alberi: il Bhadda Sala Jataka, per ulteriori approfondimenti). Esso ha come protagonista un albero di Palāsa (Butea monosperma), con il suo spirito residente, ed un albero di Banyan (Ficus benghalensis). Il Banyan (vedi Post Alberi Sacri dell'India: il Banyan, Albero dei Desideri), fa parte di un gruppo di alberi definiti come fichi strangolatori: i loro semi, ingeriti da uccelli che poi li depongono con gli escrementi sulla chioma dell’albero ospite, germogliano e crescono intorno al fusto dell’ospite, fino ad ucciderlo per strangolamento. Questo processo naturale viene utilizzato dal Buddha (il Maestro) come una metafora del peccato, che seppure piccolo, può insinuarsi nell’animo umano fino a distruggerlo.

Palāsa Jataka

Questa storia fu raccontata dal Maestro durante la sua permanenza a Jetavana, e riguarda il biasimo del peccato. Rivolgendosi ai discepoli, il Maestro disse: “Fratelli, il peccato dovrebbe essere guardato con sospetto. Sebbene possa essere piccolo come un germoglio di Banyan, il peccato può essere fatale. Anche gli antichi saggi sospettavano di qualunque cosa fosse aperta al sospetto”. E raccontò quindi una storia del passato.

Un tempo, durante il regno di Bramhadatta a Varanasi, il Bodhisattva si reincarnò in un’Oca dorata. Quando divenne adulta, andò a vivere in una grotta sulla montagna di Chittakuta nella regione himalaiana, da dove ogni giorno si recava in volo ad un vicino lago, per mangiare il riso selvatico che ivi cresceva. Sulla via che percorreva c’era un grande albero di Palāsa, e sia all’andata che al ritorno si fermava sempre a riposare sui suoi rami. Divenne così amica dello spirito che dimorava nell’albero. Un giorno un uccello, che aveva mangiato il frutto maturo di un Banyan, venne ad appollaiarsi sul Palāsa, e dopo poco lasciò cadere i propri escrementi laddove l’albero si biforcava in due distinti fusti. Ben presto in quel punto del tronco nacque un giovane e vigoroso Banyan, che crebbe rapidamente fino all’altezza di quattro piedi, coperto di fogliame verde e di germogli rossastri. L’Oca reale, vedendo ciò, si rivolse allo spirito del Palāsa, e lo avvertì : “Mio caro amico, ogni albero su cui germoglia un Banyan, viene distrutto dalla sua crescita. Non aspettare che questa piantina nata sul tuo albero cresca, o distruggerà la tua dimora. Agisci subito: sradicalo e gettalo via. E’ giusto dubitare di tutto ciò che è degno di sospetto”. Così conversando con lo spirito dell’albero, l’Oca recitò la prima strofa:

L’Oca disse al Palāsa,
“Un germoglio di Banyan ti sta minacciando:
Ciò che tu coltivi in seno,
Temo che ti spaccherà ramo per ramo”

La divinità dell’albero, non prestando attenzione alle parole dell’Oca, rispose con la seconda strofa:

“Bene! Lasciamolo crescere, e possa io essere
Di rifugio all’albero di Banyan,
Ed averne cura con l’amore di un genitore,
E ciò sia per me una benedizione”

Allora l’Oca declamò la terza strofa:

“Ho paura che sia un germoglio maledetto
Quello che allevi nel tuo seno,
Ti dico addio e me ne vado,
Questa crescita, ahimè, disapprovo”

Con queste parole l’Oca reale spiego le ali e riprese la strada per il monte Chittakuta. E non ritornò mai più. In breve tempo il Banyan crebbe, e crescendo distrusse il Palāsa, facendo cadere anche il ramo dove viveva la divinità dell’albero. In quel preciso momento, ripensando alle parole dell’Oca reale, lo spirito dell’albero pensò: “Il re delle oche aveva visto giusto e mi aveva ben avvertito, ma non ho dato retta alle sue parole!” E così lamentandosi, lo spirito recitò la quarta strofa:

“Uno spettro imponente come il Monte Meru
Mi ha ridotto in questa penosa situazione.
Disprezzando le parole dell’amica Oca,
Ora sono sopraffatto dalla paura”

In questo modo il Banyan, crescendo, distrusse completamente il Palāsa e lo ridusse ad un piccolo ceppo, e la dimora dello spirito dell’albero scomparve completamente e per sempre.

“L’uomo saggio detesta il parassita
Che soffoca le forme a cui ama avvinghiarsi,
Il saggio, sospettando il pericolo rappresentato da una malerba,
Distrugge la radice prima che produca semi”

Questa fu la quinta strofa, ispirata dalla Perfetta Saggezza.

Il Maestro, finita la sua lezione, enunciò le quattro Nobili Verità e rivelò la sua nascita: “In quel tempo,  io ero l’Oca dorata”.
Alla fine dell’esposizione, 500 discepoli ottennero la Santità.

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