martedì 21 giugno 2016

Gangaji

La nera signora lo reclamò al nascere del nuovo giorno. Non ebbe fretta. Neppure l'aria sembrava aver fretta quel mattino, e pareva soffermarsi a giocare con i contorni delle cose, bagnandoli e ritraendosi come le onde del mare, (cambiando incessantemente la sua tensione, avvolgeva la terra e gli alberi, nascondendoli alla vista, squarci improvvisi ne permettevano poi visioni parziali, per rivelare infine forme completamente diverse). Il sole già sorto combatteva con le nebbie fumanti che nascevano come sogni passeggeri dal Grande Fiume. Il vecchio sedeva sulla riva, assorto nella sua contemplazione mattutina. Le rughe gli marcavano il volto come i nodi di un vecchio tronco, cicatrici perpetue di rami amputati. I lunghi capelli bianchi si confondevano con la rada barba, folte sopracciglie canute incorniciavano occhi senza età, vecchi come il mondo. A levante i raggi di luce cominciavano a frustare le tremanti increspature acquose, sollevando ondulanti lame di luce. Nella penombra di ponente ardevano gli ultimi bagliori dei fuochi della Foresta, accompagnando i rumori del risveglio del villaggio.

Lei era lassù, scendeva dal freddo Nord insieme al Fiume.


mercoledì 15 giugno 2016

Alberobolli dell'India

Il Francobollo: un altro oggetto di culto che sta scomparendo. Piccoli quadratini di carta dai curiosi margini dentellati, raffiguranti personaggi famosi, città, eventi e manifestazioni, avvenimenti, scoperte scientifiche, animali, montagne e quant'altro. Appiccicati su lettere e cartoline provenienti da tutto il mondo, con il fascino della tanta strada percorsa. Da bambini quasi tutti  li abbiamo collezionati, staccandoli pazientemente dalle buste col vapor d'acqua. A seguire un omaggio all'amato francobollo, con alcune serie emesse in India e dedicate ad alberi e piante.


Sopra, una serie di francobolli sugli Alberi fioriti dell'India emessa nel 1981, alla cui bellezza lo scannering non rende giustizia. Da sinistra in alto ed in senso orario: Fiamma della Foresta (Butea monosperma), Crateva (Crataeva nurvata), Bauhinia (Bauhinia variegata), Pioggia dorata (Cassia fistula).

martedì 14 giugno 2016

Bilva, l'Albero di Shiva

"Ora ascoltatemi attentamente e con devozione. Vi spiegherò la grandezza del Bilva.
Il Bilva è il simbolo di Shiva, adorato perfino dagli Dei. La sua grandezza può essere compresa solo in parte.
Qualunque centro sacro ci sia nel mondo, si situa sotto la radice del Bilva.
Colui che prega Mahadeva nella forma di Lingam posto ai piedi di un albero di Bilva, purifica la sua anima e sicuramente giungerà a Shiva.
Colui che si asperge il capo di acqua ai piedi di un albero di Bilva, sarà come se si fosse bagnato in tutte le acque sacre della terra.
L’uomo che prega  ai piedi di un albero di Bilva offrendogli fiori ed incensi, raggiunge il regno di Shiva. La sua felicità diviene grande e la sua famiglia prospera.
Colui che con devozione accende una fila di lampade ai piedi di un albero di Bilva otterrà la conoscenza della verità e l’unità con Shiva.
Colui che venera l’albero di Bilva quando è pieno di teneri germogli diventa libero dai peccati.
Colui che ai piedi di un albero di Bilva offre ad un devoto di Shiva del riso cotto nel latte e nel ghee non sarà mai povero"
Shiva Purana (Vol 1, Cap. XXII, 21  - 31)


Bel (Aegle marmelos Corr.)
Lo Shiva Lodge si affaccia direttamente sul Gange a Benares, poco lontano dal Kedar Ghat e dal suo antichissimo tempio. Si trova in una vecchia casa di bramini assai trasandata, che ha sicuramente visto tempi migliori: avrebbe bisogno di una robusta imbiancata, di una sistemazione degli infissi, di un cambio radicale di mobili e biancheria. Oltre che di una regolata all’impianto elettrico, visto che la luce è piuttosto ballerina, e se ne va per dispetto ogni volta che di notte si deve rincasare, ed immancabilmente durante la doccia, così se ne va pure l’acqua. Nonostante i suoi difetti sono oramai trenta anni che mi ci fermo quando vado a Benares, perché le finestre delle camere, ed il terrazzo al piano superiore, consentono una grandiosa vista del fiume e, soprattutto, per la superlativa cucina di Jhuma, la moglie del proprietario. Fu proprio lei, diversi anni fa a parlarmi dell’albero che cresce al centro dello stentato giardinetto prospiciente il piano basso dell’abitazione: “È un albero di Bel, sommamente caro a Shiva. A Benares ce ne sono ancora molti ed in passato tutti i templi di Shiva ne avevano uno piantato nelle vicinanze. Questo ha più di centocinquant’anni!”. Non si direbbe affatto che sia così vecchio a giudicare dalle ridotte dimensioni: solo il fusto, contorto e pieno di nodi, fessure e protuberanze, accredita la veneranda età dell’albero. Da quando la conosco, ogni mattina all’alba la donna scende all’albero per offrire al lingam, che si trova alla base del tronco, rivolto verso il fiume, ghirlande di tageti, incensi, riso ed acqua appena prelevata dal Gange. Poi si raccoglie in preghiera e meditazione accucciata ai suoi piedi. Una volta me ne ha pure cucinato i frutti nel sabji, ma non ne ricordo il sapore, sicuramente non è stato uno dei suoi piatti più riusciti!
Sebbene tutt’altro che appariscente ed imponente, anzi caratterizzato da una taglia medio piccola, il Bel (Aegle marmelos Corr.), chiamato Bilva in sanscrito, è uno degli alberi più conosciuti ed apprezzati dell’intera India. Alla sua fama contribuiscono in ugual misura l’antichissima sacralità della pianta, le potenti proprietà medicinali ed il valore alimentare dei frutti.

mercoledì 1 giugno 2016

Vite Anteriori del Buddha: Kusanali Jataka

Una storia tratta dal Jataka, l’antico testo popolare buddista che narra delle esistenze anteriori del Buddha. (vedi post Storie di Alberi: il Bhadda Sala Jataka). Kusanali Jataka è la n° 121 del primo volume, ed affronta il tema dell’amicizia. I protagonisti della Jataka sono due Spiriti che abitano in un albero ed in un cespuglio d’erba, in linea con la credenza popolare indiana che nelle piante vivano entità soprannaturali di vario genere. 




KUSANALI JATAKA

Questa storia fu raccontata dal Maestro [1] nel monastero di Jetavana [2], prendendo spunto dall’amicizia di Anatha-pindika, un ricco mercante del luogo, con un uomo di rango inferiore. Parenti amici e conoscenti di Anatha avevano cercato più volte di interrompere quell’amicizia, osservando la disparità di casta e di ricchezza tra i due. Ma il mercante rispondeva sempre che l’amicizia non doveva dipendere dalle condizioni materiali degli individui. Ed un giorno che dovette partire per un viaggio di affari, affidò la sua casa e tutte le sue ricchezze all’amico, nonostante il parere contrario dei parenti. Successe ora che una notte la casa venne visitata dai ladri, ma grazie all’astuzia dell’amico di Anatha, furono messi in fuga senza poter portar via niente. [3] Quando Anatha raccontò il pericolo che aveva corso la sua abitazione, il Maestro commentò: “Un amico nel vero senso della parola non è mai inferiore. Il fondamento dell’amicizia risiede nella capacità di aiutarsi reciprocamente. Un vero amico, sebbene di rango inferiore, dovrebbe essere considerato come superiore, poiché un tale amico non mancherà di farsi carico dei problemi che ci affliggono. Colui che ha salvato le tue ricchezze è un amico nel vero senso della parola. Nello stesso modo nei tempi antichi un amico salvò la casa di uno Spirito”. Dietro richiesta di Anatha-pindika, il Maestro raccontò quindi questa storia del passato:

martedì 10 maggio 2016

La Piccola Ghianda Verde


Nel settembre dell’anno scorso mi hanno sostituito l’articolazione dell’anca, usurata per il troppo camminare, con una protesi metallica. Quattro giorni dopo l’operazione sono stato  caricato su un’ambulanza, e trasferito in una clinica per la riabilitazione in quel di Impruneta, vicino Firenze. Il luogo era molto bello, immerso nel verde di pini, querce e tante altre piante. Come succede a molti di noi, prima di quel giorno non avevo mai trascorso più di un’ora in un ospedale, per recarmi in visita ad amici e parenti ammalati. Questi templi del dolore restano accuratamente nascosti alla quotidianità di gran parte di noi. Sono luoghi dove la vita, spesso appesa ad un filo, talora vegetativa, altre volte oramai alla fine, si esprime con una potenza che non immaginavo affatto, nel bene e nel male. Tanta sofferenza, tanta umanità, i racconti dei compagni di degenza, pieni di sentimenti, di nobiltà, di tragedie e di piccolezze, di rimpianti e di dolci ricordi. Un’esperienza forte, bella e triste, di cui fatico ancora oggi a parlare senza che gli occhi si inumidiscano. Ho nel cuore i volti e le storie di quelle persone che tanto mi hanno dato, a volte ho pensato di raccontarne alcune, ma una sorta di pudore me lo impedisce.

L’ultimo pomeriggio che ho trascorso nella casa di cura stavo arrancando con le stampelle sulle stradine del parco. La mia depressione era all’apice: abituato da sempre a camminare, innamorato del lento fluire dei pensieri che diventa tutt’uno con il regolare incedere dei passi, mi sentivo rigido, menomato, come se il mio perpetuo Cammino si fosse arrestato. Ad un certo punto, su una lieve salitina che mi pareva un passo delle montagne himalaiane, ho visto al suolo, risplendente sul nero asfalto, una piccola ghianda. Era perfetta nella sua forma: rinchiusa per metà nella sua cupola, con la superficie coperta di sottili striature color verde tenero. Ho pensato che in quella minuscola cosa compatta si celava una nuova esistenza pronta a prendere essenza, con la potenza di divenire un immenso albero. Ho percepito forte il mistero della vita, che negli abitanti di quel luogo sembrava spengersi velocemente, ma che era sempre pronta a rinascere. Nei mesi precedenti l'operazione mi ero letto alcuni libri sul buddismo, come mi capita ad intervalli più o meno regolari. Secondo quella stupenda filosofia le cose non esistono di per se stesse, ma vengono “create”, perlomeno nei loro attributi, dalla nostra mente. Allora mi sono chiesto se era la mia mente che imputava a quella ghianda la capacità di nascere e di diventare albero. Mi sono risposto che comunque quello è un fatto che avviene, non sempre, ma sta nell’ordine naturale delle cose. Ed allora è sorta spontanea un’altra domanda: è per caso l’energia creatrice della nostra mente che permette alla vita presente in quella minuscola ghianda di esprimersi? Non ho trovato alcuna risposta, naturalmente. Ad ogni buon conto, ho raccolto la ghianda e con grande fatica l’ho sotterrata sul margine del bosco. Il cuore è ridiventato subito leggero.