domenica 23 dicembre 2012

Storie di Alberi: il Baobab, l'albero con le radici in cielo



Un mito assai diffuso in Africa racconta che quando Dio creò la terra, assegnò una pianta ad ogni animale. Il Baobab toccò alla iena la quale, disgustata da quello che evidentemente le sembrava un albero senza alcuna utilità, lo gettò via. Ed il Baobab atterrò capovolto, con le radici verso il cielo. In un’altra leggenda, si narra che il Baobab fu uno dei primi alberi creati da Dio. Quando però vide la successiva pianta creata, una palma slanciata verso il cielo, il Baobab cominciò a brontolare, perché lui voleva essere alto come lei. Dio ascoltò le sue lamentele e lo fece crescere; ma questi aveva appena raggiunto l’altezza della palma, quando vide la spettacolare fioritura della Flamboyant, e si lamentò che lui non aveva fiori. Dio provvide un’altra volta, e dotò anche lui di fiori. Ma non era ancora abbastanza: si mise infatti a piagnucolare che lui, a differenza del fico, non aveva frutti. Questo fu troppo pure per la pazienza del Creatore che, in un accesso d’ira, sradicò il Baobab dalla terra e ce lo riscaraventò con la chioma in giù, e le radici per aria.

Adansonia grandidieri  Avenue du Baobab. Morondava, Madagascar


Le due storie precedenti hanno il medesimo finale, e lasciano il povero Baobab a “gambe” per aria, a sottolineare la stravaganza della chioma, costituita da rami corti e tozzi disposti pressoché tutti nella parte terminale del fusto, e spogli di foglie per gran parte dell’anno, tanto che, per l’appunto, la chioma assomiglia fortemente ad un apparato radicale. In effetti, il Baobab è una delle piante più fantastiche e bizzarre che Madre Natura abbia mai creato. Emerge solitario dalle piatte savane africane, unico tra gli alberi a sopportarne i torridi caldi estivi e le prolungate siccità, ed affonda talora le proprie radici nel granito vivo; signore incontrastato di una vegetazione povera, composta da erbe ed arbusti spinosi, raggiunge dimensioni incredibili, a dispetto delle condizioni ecologiche estreme in cui vive. Per resistere alla siccità, fa provvista della poca acqua piovana che cade nel proprio tronco poroso, arrivando a contenerne più di centomila litri, e perde molto presto le sue foglie, arrestando quasi completamente le proprie attività vitali nella stagione secca, come fosse un animale che va in letargo. Alla lunga assenza delle foglie, supplisce quindi con dei tessuti fotosintetici che si sviluppano curiosamente all’esterno della corteccia. Non si preoccupa neanche degli incendi, letali per il resto della vegetazione che l’accompagna, perché la sua corteccia è ignifuga, e lui continua a vivere anche se brucia la parte interna del tronco, rigenerando tessuti dalla corteccia superstite. Vive prospero e diviene immenso, laddove tutti gli altri, uomo compreso, stentano.



Il suo aspetto, i luoghi selvaggi dove vive, la smisurata grandezza del tronco, lo ammantano di una bellezza e di un fascino tali da averlo reso, nonostante la sua lontananza geografica, uno degli alberi più famosi del mondo occidentale. Nei luoghi di origine poi, il Baobab è una vera icona: fonte di cibo, medicine e materiale per costruire case ed oggetti quotidiani, sacralizzato in molte tribù, simbolo totemico e luogo di riunione, fonte infinita di storie e leggende popolari. La sua sagoma inconfondibile appare su monete, banconote e francobolli di vari stati africani; in Madagascar, ad esempio, è l’albero nazionale, ed è soggetto od elemento fondamentale di rappresentazioni pittoriche e di manufatti artigianali.



Il primo a rivelare al resto del mondo l’esistenza di questi fantastici alberi pare sia stato un tal Ibn Battuta, nato in quel di Tangeri, che nel 1353 vi si imbatté durante un viaggio nel Mali, descrivendoli così: “La strada ha molti alberi di grande età e dimensioni; sotto ognuno di essi può trovare riparo un’intera carovana. Alcuni di essi non hanno rami né foglie, ma il loro tronco fa da solo ombra sufficiente. Alcuni hanno delle cavità al loro interno, e vi viene raccolta l’acqua piovana, come fosse un pozzo, e le persone bevono quest’acqua. In altri alberi ci sono api e miele, che viene raccolto dalla gente del posto”.

Alberi dalle dimensioni straordinarie vengono osservati e descritti anche da altri esploratori del secolo successivo, in particolare portoghesi. Dagli scritti del medico veneziano Prospero Alpini, veniamo poi a sapere che alla fine del ‘500 i frutti del Baobab venivano venduti nei mercati del Cairo, con il nome di “bu hobab”, ovvero “frutto dai molti semi”, e da questo appellativo del frutto deriverebbe il nome della pianta. Bisognerà comunque aspettare fino al 18° secolo perché l’albero venga ufficialmente “scoperto”, descritto con tutti i crismi scientifici dell’epoca, e fatto conoscere al pubblico europeo e mondiale, ad opera di Michel Adanson. Adanson, naturalista francese di origine scozzese, incontrò il suo primo Baobab nel 1749 in Senegal, nelle vicinanze dell’attuale città di Dakar, e ne rimase letteralmente folgorato: “Mi portarono in un luogo isolato dove vidi un immenso branco di antilopi, ma le dimenticai subito, poiché la mia attenzione fu attirata da un albero di prodigiosa grandezza. Era un albero-zucca, chiamato goui dalle genti locali. Non aveva niente di straordinario in quanto all’altezza, non era più alto di diciotto metri, ma il suo tronco era di una grandezza prodigiosa. L’albero sembrava formare da solo un intera foresta” L’esemplare in questione aveva una circonferenza, da lui stesso accuratamente misurata, di 65 piedi (circa 20 metri); in seguito il naturalista ne troverà di ancora più grandi. Adanson rimarrà in Senegal per cinque anni, studiandone a fondo la flora e la fauna; nel frattempo invia un primo resoconto sul Baobab al suo mentore, il creatore dei Giardini Trianon di Luigi XV, Bernard Jussieu, che a sua volta fece pervenire il manoscritto a Carl Linnaeus, il botanico svedese all’epoca intento alla sua rivoluzionaria opera sulla classificazione delle specie viventi. Questi costituì un nuovo genere per il Baobab, chiamandolo Adansonia in onore del suo scopritore, e lo inserì nella edizione definitiva del “Systema Naturae”, pubblicato nel 1759, con il nome completo di Adansonia digitata, laddove l’indicazione della specie, “digitata”, ne ricorda la forma delle foglie pentalobate, simili ad una mano. Il fatto curioso è che Adanson non fu affatto contento dell’onore ricevuto, essendo fortemente contrario al sistema classificatorio elaborato da Linnaeus. Trascorrerà il resto della propria vita studiando e promuovendo una propria classificazione, che esporrà in una opera monumentale di 27 volumi, in cui ordinò oltre 40.000 specie secondo il proprio metodo. L’opera non venne mai pubblicata, ed il sistema ben presto dimenticato; Adanson morì povero in canna, chiedendo che la sua tomba venisse adornata con una ghirlanda fatta con i fiori delle 58 famiglie che aveva classificato.