venerdì 6 aprile 2012

Kashi Vishwanath: The End




A conclusione di questa serie, alcune brevi note su Kashi Vishwanath.

Kashi (città della luce) è uno degli antichi nomi di Varanasi, la città indiana che gli inglesi, i quali durante la loro dominazione cambiarono tutti i nomi che non erano in grado di pronunciare, battezzarono come Benares. Varanasi è, nel complesso ed ampio panorama dei luoghi sacri dell’India, il luogo più sacro in assoluto. Essa sorge sul fiume Gange ed è costruita solo su di una riva: l’altra riva è occupata da una sconfinata distesa di sabbia. Una cinquantina di Ghat (scalinate), permettono l’accesso al fiume ai devoti indù che da tutta l’India giungono in pellegrinaggio per bagnarsi nelle sue acque, che hanno la proprietà di lavare tutti i peccati. La river line è formata da bellissimi antichi palazzi, fatti edificare da re, marajà, ricchi e potenti vari; all’interno si sviluppa in un intricato dedalo di stretti vicoli, dove talora è difficile camminare per la quantità di pedoni, biciclette, moto e mucche che vi si accalcano. Ancora più addentro, le strade principali, ove regna un caos indescrivibile di macchine, risciò a pedali ed a motore, uomini a piedi ed animali. Spesso si generano, cosa mai vista altrove, ingorghi di pedoni, prontamente risolti dai poliziotti a suon di bastonate. Il rumore raggiunge qui livelli insopportabili. I risciò a pedali hanno dei curiosi campanelli che funzionano all’incontrario: ovvero suonano sempre, e quando si aziona il pispolo, si chetano.
Vishwanath è il tempio più importante. Dedicato a Shiva, coperto da una cupola d’oro, ospita uno dei dodici yotir lingam dell’India, un lingam (simbolo di Shiva, rappresenta il fallo) di luce, automanifestatosi.
Varanasi è forse la città vivente più antica del mondo. Il sacro fuoco di Manikarnath è acceso da tremila anni, e giorno e notte vi si bruciano i morti, qui portati nei modi più disparati, talvolta sul portapacchi di una macchina, o nel cassoncino di un apecar. Le ceneri vengono poi disperse nel fiume, ed esiste addirittura un servizio postale che permette di inviare le ceneri dei defunti perché vengano versate nel Gange. Chi muore a Varanasi, ottiene direttamente la liberazione dal ciclo infinito di morte e rinascita, grazie ad un mantra speciale che il dio Shiva sussurra all’orecchio del morente. Moltissimi indù si ritirano qui in vecchiaia ad aspettare la fine. Per questo si configura come la città della morte ma, paradossalmente, qui lo spirito della vita soffia forte come in nessun altro luogo della terra. Varanasi è anche la città della musica, della filosofia e dello studio, della poesia, del culturismo fisico, della morfina e delle prostitute. Esserci è già yoga. I ghat pullulano di una varietà umana ed animale incredibile: Sadhu ed astrologi, chiai wala, perdigiorno vari, giocatori di cricket e di danda gully, di carte e di scacchi, provetti volatori di aquiloni, cacciatori di aquiloni, venditori masticatori e sputatori di pan, barcaioli, riparatori e costruttori di barche, con i cantieri all’aperto, massaggiatori, barbieri, pujari, trastullatori di cobra, pittori, suonatori di flauto e digiridoo, venditori di noccioline, cartoline, collanine, oggetti vari di culto, e poi di fiori e lumini ad olio, culturisti fisici, pastori di bufali, bufali imbufaliti alla catena, od in fuga sulle scalinate, oppure in acqua al lavaggio, imbroccatori di straniere, turisti, stranieri schifati, stranieri tramutati in brutta copia di indiani, trasportatori di morti, addetti alla cremazione e venditori di legna, cani pelleossa, scimmie ladrone, pappagalli, mucche, scoiattoli, nutrie, bodde, pescatori di frodo, intossicati di bhang e charas, belli lavanderini, pellegrini, imbianchini, saldatori, venditori di mind games, spostatori di sudicio (spazzini), poliziotti in divisa ed in borghese, comunque esosi.
La mattina il sole sorge davanti ai ghat e trova una città già sveglia ed attiva, si alzano tutti molto presto. Verso il far della sera, appena dopo il tramonto, là verso Ramnagar, il cielo e Gangaji si confondono in uno sfumato colore nebbioso, le parti invertite, il limite annullato. Gangaji cambia continuamente colore e consistenza con le ore del giorno e con le condizioni atmosferiche. Talvolta sembra mercurio puro, e pare immobile, con una superficie tridimensionale che lo proietta oltre le rive, e sembra più un contenitore che un contenuto. A volte sembra di essere in un quadro del Caravaggio, ed il paesaggio della città si apre in scorci antichissimi, senza tempo. Sulle rive di Gangaji il tempo è fermo da millenni, sprazzi di modernità appaiono solo verso l’interno, limitato ai pochi nuovi edifici ed ai punti internet.
Sono molto affezionato a questa città. Ma soprattutto a Gangaji, questo lunghissimo fiume sacro e pieno di mitologia, vera spina dorsale del nord dell’India, pura energia liquida che fluisce dalle montagne himalayane fino al golfo del Bengala, portando la vita a milioni di indiani che vivono lungo le sue rive. Si, è indubbiamente molto “sporco”, ma chi vede il sudicio addosso alla propria madre? Oramai molti anni fa, più di venti, insieme a Luca lo abbiamo disceso fino a Calcutta su di una minuscola house boat, transitando per luoghi veramente fuori dal mondo e di bellezza unica.

Kashi Vishwanath Ki Jae!
Gangaji Ki Jae!

Trovate le altre foto della serie nella cartella Kashi