martedì 21 febbraio 2012

Alberi Sacri dell'India: Lathu Maharaj

Lathu Maharaj (Cedrus deodara)  Wan, Uttarakhand

Circondato da una corte di cipressi alti fino al cielo, che lo nascondono parzialmente alla vista, Lathu Maharaj abita nel mezzo del bosco, una mezz’ora di cammino sopra il paesino di Wan (vedi Post: Dedicato ai Bambini di Wan), laddove la ripida pendice si allenta, a formare una specie di pianoro da cui si domina buona parte della vallata. Lathu è uno stupendo esemplare di Cedro dell’Himalaya (Cedrus deodara), un albero eccezionale non solo per il ruolo religioso-spirituale che svolge in seno alla comunità, ma anche per età ed imponenza, oltre che per la bellezza delle forme. Intorno a lui aleggia una energia impressionante, una energia silvestre, quasi cupa, fortemente percepibile; al suo cospetto il tempo svanisce, mentre lui occupa completamente il tuo spazio visivo. Nel piccolo bosco sacro che lo circonda, una pace perfetta. Il lieve frusciare del vento, dolce e costante, che gioca con le chiome, il suono continuo ma pacato del ruscelletto poco lontano, chiamato con lo strano nome di Quadiagal, che si somma al canto fragoroso del fiume di fondo valle. Di tanto in tanto si ode il rintocco quasi sordo delle campane sacre, toccate da qualcuno che si ferma per una preghiera sulla strada di casa o del lavoro. Nel cielo le nuvole si muovono lente e velate di tenue grigio, provenienti dalla cresta antistante; numerosi vi volano i corvi, che si fermano poi a riposare sui rami.


Lathu è del tutto sconosciuto al di fuori della valle di Wan. Io lo scoprii per caso, seguendo la processione per Bedni Bugyal, una quindicina di anni fa. Quando mi sono intrippato in questa storia degli alberi e del relativo blog, era proprio questo l’albero che avevo in mente, il mio archetipo d’albero. Ci sono voluto tornare dopo molti anni per rivederlo, come si fa con un vecchio amico lontano, ed è stata l’unica cosa che ho ritrovato da quelle parti. Il resto, ovvero villaggi, sentieri, templi, negozi, guest house, tutti spariti: sicuramente mi sarò confuso con i ricordi. Spero.

domenica 12 febbraio 2012

Dedicato ai Bambini di Wan

La valle di Wan


Wan è un piccolo villaggio di montagna adagiato sui primi contrafforti himalayani, nel recente costituito stato indiano dell’Uttarakhand. Il paese si trova in una conca riparata, nella parte alta della valle, diviso in due da un ruscello canterino, il Bedni Ganga. Le piccole vie lastricate in pietra, i ponticelli di legno, le case dai tetti di ardesia, intonacate ad argilla e colorate con tinte pastello ocra, giallo e bianco, alcune con lunghi balconi di legno al primo piano. Certe porte e finestre appaiono molto antiche, sempre in legno, sapientemente lavorato. Le costruzioni si dispongono generalmente a gruppi, intorno ad una comune aia centrale.  Una piccola piazza rettangolare nella parte alta, con il tempio dedicato a Shiva; nella parte bassa campeggia invece un enorme albero di noce, oramai secco da tempo, che stende i suoi lunghi e grassi rami a coprire un buon numero di case. Ci sono solo tre “negozi”, che vendono riso, farina, zucchero, sigarette ed altri generi di prima necessità: tutti preparano anche il chiai (tè all’indiana, con latte e spezie), in uno a mezzodì è possibile mangiare qualcosina.

Il crinale sopra Wan

La strada, sterrata, è arrivata solo da qualche anno, prima si fermava ad una decina di chilometri, e si arrivava solo a piedi, da questa o dalla valle adiacente. Era molto meglio. A meno di non avere robusti paraocchi od una distrazione totale per i fatti esterni. Nell’ultimo tratto si aprono infatti una serie infinita di frane, ed il cuore balza in testa al solo vedere i dirupi sottostanti. Tralasciando poi buche, cunette, tornanti ed affini. Comunque sia, i 90 chilometri che lo separano da Tharali, il paese in fondo valle dove si ritrovano asfalto e mezzi pubblici, necessitano di una intera giornata per essere percorsi, cambiando tre jeep private che svolgono servizio di taxi collettivo. Stipate fino all’inverosimile, anche 25 passeggeri dove ce ne entrerebbero 5, arrancano con il muso sollevato dal peso, ostaggio delle buche e di pneumatici prossimi al parto, da tanto che sono consumati.
La corrente elettrica è arrivata anch’essa pochi anni fa, ma da tre anni si è guastato l’impianto a valle, e la sera si illumina ancora con candele e lumi ad olio. L’assenza di luce artificiale rende il cielo di notte uno spettacolo unico di miliardi di stelle luccicanti; la Via Lattea è così chiara che sembra di toccarla. (In Hindi la Via Lattea viene curiosamente  chiamata Akash Ganga, ovvero il Gange del Cielo).  Qualcuno ha montato delle curiose celle solari portatili, che bastano per un paio di lampadine e per ricaricare il cellulare. Anche quassù tutti possiedono ormai un movil: il fatto curioso è che non c’è assolutamente linea, e quindi viene usato solo per ascoltare la musica. Sparata ad un volume inimmaginabile, si sente dalla valle accanto, i nostri umili cellulari impallidiscono al confronto.

Campi con Amaranto a seccare

L’economia si basa su un’ agricoltura esclusivamente di sussistenza. Siamo intorno ai 2.500 metri di altitudine, e quindi non sono molto le specie che crescono: le colture principali sono rappresentate dal grano nel periodo invernale, a cui succede l’amaranto nel periodo estivo. In ottobre, Il contrasto tra il colore dell’ amaranto già tagliato ed affastellato, la terra scura, e l’azzurro carico del cielo è un incanto per gli occhi ed una gioia per il cuore. Si coltivano poi patate, fagioli e pomodori. Basta. Poche le mucche allevate, un po’ più numerose le capre, buone per il latte e, di tanto in tanto, per la carne. Dall’esterno, si porta solo riso, zucchero e lenticchie, saltuariamente un po’ di banane.