domenica 31 ottobre 2010

Tra il Serio ed il Faceto, du' bischerate sul Boleto

Un’altra stagione di funghi si è appena conclusa. La ricerca dei funghi è una malattia devastante per chi ne è afflitto, ed anche per il suo datore di lavoro, essendo che quando si sparge la voce che “fanno”, uffici ed officine si svuotano ed il bosco si riempie di una variopinta e variegata umanità, costituita da vecchi e bambini, montanari e cittadini, donne ed uomini insomma di tutte le categorie, armati di bastone, stivali e cesta, tutti accomunati dalla fatal passione e dalla facilità con cui riescono a perdersi.
Ieri, frugando tra il caos delle mie carte alla ricerca di un articolo, ho ritrovato un vecchio scritto sui funghi, a firma di un certo Arnolfo Bandarello; rileggendolo mi sono fatto qualche risata, ragion per cui ve lo passo tale e quale.

La mia stagione fungifera, a proposito, è da dimenticare.



La parola fungo, nell' Appennino Pistoiese, si identifica inesorabilmente con il porcino. Coloro, e non sono pochi, che decantano la bontà della mazza di tamburo arrosto, o l' aderenza alla pasta del sugo di galletti, piuttosto che la fragranza del fritto di pinaroli si fermano alla palatabilità del micelio, dimenticando come questo attributo sia semplicemente secondario in ciò che inerisce al mitico boleto edule, dove lo sgranamento (l’ingestione, NdR) non costituisce che l' atto ultimo di un processo rituale. Il vero fungaio apprezza di più il mistero della cerca e trova, che non l'attimo del sacrificio gastronomico. Anacronismo evolutivo, considerato spesso una pianta, a torto poichè non fa la fotosintesi, e si nutre invece delle essenze di organismi in decomposizione, il porcino partecipa di quella magia propria anche di pesci e cacciagione, incrementando peso e dimensioni con il passare del tempo e con il variare del luogo. Alcuni funghi, svelti (da svelgere, ovvero cogliere, NdR) ancora in fasce, la sera al bar sono già raddoppiati di peso, e raggiungono nella confusione degli anni dimensioni stratosferiche, talchè ben poche sono le trasmissioni orali corrette, e l'esoterismo si rinchiude circolare sul cercatore, in una menzogna destinata a proteggere il segreto essenziale di ubicazione, colore e sapore. Anche sulle quantità giornaliere raccolte dai singoli c’è molto da dubitare: a parte che siamo spesso anche otto o nove volte il peso consentito dai regolamenti vigenti, ricordati solo per argomentare, in quanto sistematicamente infranti, ma lo stesso rapporto risulta spudoratamente lo stesso tra  peso dichiarato/peso massimo contenibile dal pianere (pistoiese per paniere, NdR). E poi, suvvia, portatemi 40 kilogrammi di funghi su è giù per il bosco per tot ore e mezzo, e vi raccoglieranno col cucchiaino traslocandovi  immantinente al Quicisiripiglia.

Perfetto nelle proporzioni delle sue infinite forme e sfumature tonali, il porcino è una pura epifania divina; come ogni verità non ammette il dubbio, se stai dubitando di ciò che hai davanti, stai pur certo che non è Lui, ma un qualunque dei suoi sudditi, magari un Boletus Satanas, che nella padella vi farà diventare l'aglio azzurrognolo, ed è meglio allora astenersi, o sopportare il mal di pancia. E' proprio il carattere epifanico che distingue il porcino dagli altri consanguinei: è due ore che stai girando lo sguardo rovistando foglie rame e paleo e d'improvviso, là dove non c'era niente, Lui si rivela, chiama il tuo sguardo, si offre in dono, ti fa partecipe del grande Mistero della Natura. Un solo fungo è capace di competere dal lato mistico-estetico, ed ha la nobiltà di aver riempito pagine più o meno importanti della letteratura mondiale e menti più o meno disturbate di cercatori di sapere...è proprio lui, il fungo di fate e streghe, l'Amanita muscaria, ma le sue doti psichedeliche ne consigliano quivi solo una cauta citazione. A proposito, o meno, un piccolo inciso. L'unico fungo mortale della italica flora è la verdognola micidiale Amanita phalloides, che ti divora il fegato in pochi giorni, e quando inizia non c’è rimedio, se non cercarsene uno nuovo, possibilmente giovane ed astemio. Tutti gli altri funghi possono essere tossici, anche parecchio oltre certe dosi, ma provate a mangiare 20 chili di pane e poi, se ancora ce la fate a camminare ed a connettere, venitemelo a raccontare!
La Sua crescita è così arcana da trovar posto nei misteri Eleusini ed oltre, fino alla saggezza montanina che "fungo visto non cresce più". Io personalmente credo che nasca e che raggiunga come in un lampo d'esplosione la sua dimensione definitiva..và beh, l'ipotesi è un pò azzardata, ma è sostenuta anche da Beppe A., che di funghi se ne intende e ne svelge assai, anche se di molti in Riserva, laddove essendone proibita la raccolta, guarda caso, crescono il doppio che altrove.

Proverbiale al pari dell'acidità prodotta dal connubio di vino e necci, è la pesantezza del porcino, inavvertita al momento dell'ingestione e progressivamente incuneantesi sino a prendere possesso dei sogni notturni, che trasforma in incubi parallelopipedi. In effetti, a parte una gran quantità di acqua (diciamo un ottanta per cento), il porco non ha quasi sostanze nutritive convenzionali (non dimentichiamo il valore nutritivo mentale, in ispecie al momento della sua manifestazione nel bosco), ma presenta in compenso una sostanza azotata tra le meno decomponibili (ergo digeribili) presenti in natura, ossia la chitina. Non so se il nome derivi dal Chiti, l'essere universalmente riconosciuto come il più pesante nell'intiero firmamento, colui che ha messo in crisi leggi della gravità e teoria della relatività...ma, etimologia a parte, questa sarebbe un'altra storia, e la rimandiamo ad un'altra volta.
Ab

venerdì 22 ottobre 2010

Storie di Alberi: Dafne ed Apollo

Dafne fu il primo amore di Apollo, un amore suscitato non  dal cieco Destino, ma dalla tremenda ira di Cupido. Dopo una accesa disputa con Apollo, su chi fosse più glorioso, Cupido, assai arrabbiato, scagliò dalla vetta del Parnasso due frecce dagli effetti opposti: l'una, dorata ed appuntita, destinata a suscitare amore, l'altra, di piombo e spuntata, a tenerlo lontano. Con la prima freccia centrò Apollo, che si innamorò immediatamente di Dafne; con l'altra colpì la fanciulla che, inorridita dal nome stesso dell'amore, se ne fuggì da lui e da tutti gli uomini, e si rifugiò nel profondo di una impervia foresta. Alle suppliche del padre Peneo, affinchè si sposasse e gli desse dei nipoti, Dafne risponde dolcemente, chiedendogli di poter mantenere per sempre la sua verginità, così come il padre degli dei aveva già concesso a Diana.
Apollo era completamente perso nel suo sentimento "... come la secca stoppia va in fiamme appena mietute le spighe, come bruciano le siepi per una fiaccola qualora un viandante casualmente ve l'abbia accostata troppo o ve l'abbia abbandonata sul far del giorno,così il dio fu preda del fuoco, così arde in tutto il cuore e nutre un vano amore..."
Dafne però, più veloce del vento, schivava le attenzioni del dio, e nonostante questi cercasse di lusingarla, ricordandole la propria natura divina, la discendenza da Giove, la fama e la gloria acquisite, continuava a fuggire nella foresta. Apollo, stanco e sconsolato per i continui rifiuti, cominciò a correrle dietro con passo più svelto, spinto dalle ali dell'amore ed animato dalla speranza di averla, finchè alfine la raggiunse. La fanciulla, sentendosi persa ed in procinto di essere sopraffatta, supplicò gli dei di trasformare quelle sue umane sembianze che le avevano attirato le mire di Apollo.
Aveva appena terminato di pregare, che un pesante torpore invase il suo corpo: il delicato petto venne avvolto da una sottile corteccia, i capelli si tramutarono in foglie, le braccia in rami. I suoi piedi, prima così veloci nel fuggire, divennero radici immobili, ed il volto una cima di albero: dell'antico essere, le rimase solo l'accecante bellezza. Apollo continuava comunque ad amarla, ed appoggiandosi al tronco poteva ancora sentirne il cuore battere leggero sotto la corteccia.
Infine, il dio disse: "Visto che non potrai divenire la mia sposa, sarai dunque il mio albero. La mia chioma, la mia cetra, la mia faretra, o Alloro, saranno da te adornate. Tu incoronerai i generali vittoriosi, tu sarai appesa alle porte della dimora di Augusto e la proteggerai. E come la mia testa giovanile è coperta da una folta capigliatura, così anche tu avrai l'onore di rivestirti in eterno di foglie sempreverdi."
In questo modo nacque la pianta dell'Alloro.

Tratto dalle Metamorfosi di Ovidio (libro I, 453-566) 

giovedì 21 ottobre 2010

Storie di Alberi: gli abitanti più antichi della Terra

Il Bristlecone Pine (Pinus longaeva) è la specie che annovera gli individui più vecchi del nostro pianeta. La pianta dell'immagine fa parte di un ampio gruppo di alberi, localizzato sulle White Mountains, nella California orientale, che hanno più di 3.000 anni: tra di essi risalta un esemplare, chiamato Methuselah (Matusalemme!) la cui età stimata è di circa 4.800 anni. Per proteggerlo da possibili vandalismi, l'esatta ubicazione di Methuselah è mantenuta segreta. Ad un altro esemplare, Prometheus, proveniente dalle montagne del Nevada, e purtroppo abbattuto nel 1964, sono stati attribuiti oltre 4.900 anni.
Il Bristlecone Pine vegeta ad altitudini superiori ai 3.000 mslm, in California, Nevada ed Utah, su terreni poveri, superficiali e molto pietrosi, che creano condizioni talmente difficili, da escludere la concorrenza di quasi qualunque altra specie arborea. La severità del clima limita fino ad annullare la presenza di potenziali parassiti, siano essi funghi od insetti. Gli alberi della specie, nonostante l'età, hanno una taglia molto ridotta, con altezze di pochi metri. Spesso, ed è un caso alquanto particolare nel mondo vegetale, solo una piccola porzione di albero è ancora viva, talvolta rimangono solo pochi ciuffi di aghi. I tronchi segnati dal passare dei secoli assumono forme e colori affascinanti ed incredibili. Gli studi dendro-cronologici su sezioni del fusto hanno permesso di affinare e di tarare la datazione dei corpi terrestri basata sul metodo del carbonio radioattivo.






White Mountains, California (USA)



martedì 12 ottobre 2010

Storie di Alberi: Ganja e Mahua

Secondo una leggenda, la pianta della Ganja e l'albero del Mahua sono marito e moglie. Un tempo i due erano stati esseri umani, amanti a cui era  negato il  matrimonio poichè appartenenti a caste diverse. Non volendo stare separati, si erano rifugiati nel profondo della jungla, lontano da tutti, per vivere in pace il loro amore. Alla loro morte, essi rinacquero come piante nel luogo stesso dove erano deceduti. Vedendo la nobiltà e la grandezza del loro amore, Shankar Bhagwan, il Distruttore dell'universo, dette loro il nome di Ganja e di Mahua, ovvero Cannabis ed Alcohol.
Leggenda indiana


According to legend, the Ganja plant and the Mahua tree are husband and wife. They were human beings once, lovers who could not marry because they came from different castes. Refusing to be separated, they went deep into the jungle and took their own lives. They were re-born as plants on the spot where they died. Seeing the beauty of their love, Shankar Bhagwan, the creator, named them Ganja and Mahua, cannabis and alcohol.
Legend from India


martedì 5 ottobre 2010


Noi vediamo l'opera del Grande Spirito in ogni cosa: nel Sole, nella Luna, negli Alberi, nel Vento, nelle Montagne...
Sapete che gli alberi parlano?
Parlano, eccome. Parlano tra loro, e parlano a noi esseri umani, se sappiamo ascoltarli. Il fatto è che l'uomo bianco non ascolta. Non ha mai imparato ad ascoltare neanche noi indiani, perciò suppongo che non presti attenzione alle voci della natura.
Io ho appreso molte cose dagli alberi: mi hanno insegnato segreti ora sul tempo, ora sugli animali, ed anche sul Grande Spirito.
Tatanga Mani (Bisonte che Cammina)


We can see the hand of the Great Spirit in everything: in the sun, in the moon, in the trees, in the wind, in the mountains...
Did you know that trees can speak? They speak, indeed. They speak together, and they speak to men, if we know how to listen them. But the white man doesn't listen. he never learnt to listen to us Natives, so i think he cannot hear the voices of the Nature.
I learnt so many thinghs from the trees: they thaught me secrets about the time, the animals and sometimes even about the Great Spirit.